Come migliorare l’equilibrio emotivo degli atleti

Pubblicato il 21 marzo 2014 | Categoria: La psicologia sportiva, Sport e psicologia

Si discute molto, negli ambienti dello sport e della medicina sportiva, dell’aumento dei traumatismi negli atleti, sopratutto i più giovani.

Negli Stati Uniti, patria di sport a forte impatto fisico, si è verificata un’escalation di gravi traumi anche di natura cerebrale non più soltanto nelle serie professionistiche, ma sopratutto nelle squadre studentesche e giovanili, tanto da costringere tutti i soggetti interessati a mettersi intorno a un tavolo per scoprire le cause e trovare le soluzioni più adatte.

La responsabilità è sicuramente dell’intero sistema la cui esasperata ricerca del successo ad ogni costo porta allenatori e squadre alla ricerca sfrenata della competitività spingendo gli atleti, anche i più giovani, ad andare oltre i propri limiti aumentando i rischi di lesioni e traumi.

E i traumi di natura emotiva?

Se tutti sembrano essere consapevoli dei rischi per la salute fisica dei giovani atleti, sono ancora in pochi a rendersi conto delle problematiche che i traumi di natura emotiva possono avere sullo sviluppo psico-fisico dei ragazzi.

Durante la pratica sportiva, la figura di riferimento per gli atleti, sopratutto per i più giovani, è il coach, l’allenatore.

Il ruolo centrale del “coach”

L’allenatore ha, tra gli altri, anche il compito di spingere gli atleti a dare il massimo a essere il più competitivi possibile. La ricerca della competitività non è di per se sbagliata, se mantenuta entro i limiti del possibile, limiti che sono diversi per ciascuna persona e che un buon allenatore deve imparare a riconoscere.

Per ottenere i migliori risultati il coach cura la forma fisica degli atleti, spesso interviene sulla loro vita di relazione, fissando limiti e paletti entro i quali muoversi senza contraccolpi per il fisico ma, appunto, non si spinge quasi mai oltre il livello fisico.

La sfera emotiva del giovane atleta è un campo nel quale l’allenatore non interviene praticamente mai e solo nei casi in cui disagio emotivo diventa evidente, cioè ormai patologico, affida il giovane alle cure dei medici. Questo dipende dal fatto che quasi sempre gli allenatori mancano della necessaria competenza e preparazione.

Ciò li porta a sottovalutare segnali importanti, ad esempio gli stati d’ansia, spesso valutati solo per il loro potenziale positivo. Infatti, come ricorda lo psichiatra dr. Gugliemo Campione…l‘ansia, stato eccitatorio del sistema nervoso centrale di allerta, può essere utile in certe oggettive condizioni di pericolo…” come potrebbe essere, nel nostro caso, l’attesa di una partita importante, ma “…può compromettere, se eccessivo e onnipresente, l’equilibrio psicofisico attraverso il suo carattere pervasivo e improvviso che condiziona la condotta relazionale, affettiva e sessuale del soggetto. Esso finisce per evitare, infatti, sempre più le situazioni che conducono alla comparsa d’ansia. Ne consegue una limitazione della libertà personale”.

Gli psichiatri americani portano all’attenzione le nuove competenze necessarie ad un allenatore “moderno” per garantire uno sviluppo, equilibrato anche sotto l’aspetto emotivo, ai propri atleti.

Si parte dal riconoscimento della grande importanza della figura dell’allenatore e dell’influenza che esercita sopratutto sugli atleti più giovani, suggerendo una serie di interventi e le finalità attribuite a ciscuno di questi.

Il “rinforzo positivo”

Non solo ricerca delle prestazioni e dei successi, ma sopratutto ruolo cosidetto di “rinforzo positivo”. Questa è la prima delle azioni che chiedono gli psicologi dello sport e dell’età evolutiva ai “coach” delle diverse discipline.

Cos’è il rinforzo positivo? È la capacità di svolgere un ruolo di guida e di supporto che permetta ai giovani atleti di trovare il lato positivo anche nelle prestazioni negative. È fondamentale, ad esempio, non smettere di gratificare i giovani valorizzandone gli sforzi compiuti.

Utilizzare gli insuccessi non accentuando la valenza negativa ma valorizzando la capacità di ricerca di nuove strategie d’azione in sostituzione di quelle rivelatesi poco efficaci, puntando sul ruolo d’insieme della squadra senza sottolineare le mancanze dei singoli.

Feedback puntuale

Fornire feedback puntuali ed efficaci è un ottimo modo per rinforzare l’autostima. Analizzare le prestazioni valorizzandone gli aspetti positivi ed offrendo prospettive di miglioramento. Per esempio “…avete fatto benissimo la fase difensiva, lavoriamo per migliorarla econtrolliamo di quanto riusciamo ad aumentare o la velocità…”. Questo atteggiamento fornisce i giusti stimoli personali al miglioramento e aumenta la capacità di concetrazione verso gli obbiettivi da raggiungere.

Essere premurosi

Il famoso “I care”. Significa, sopratutto, creare empatia attraverso una grande capacità d’ascolto. I ragazzi più giovani devono sempre sentire l’adulto di riferimento premuroso ed attento. Questo aumenta il senso di appartenenza al gruppo, indipendetemente dai risultati ottenuti, ed aumenta le motivazioni e la cura verso se stessi e l’attenzione verso gli altri.