Pubblicato il 30 giugno 2014 | Categoria: Fitness e salute, Sport e salute
C’è ancora un grande dibattito relativo alla possibilità che atleti affetti da Hiv o epatite di tipo B o C possano o debbano partecipare ad attività sportive di squadra.
Molti sono preoccupati, soprattutto se si tratta di attività che coinvolgono bambini o giovanissimi, dove l’agonismo spinto può portare a frequenti contatti fisici.
In realtà ormai tutti dovrebbero sapere che queste patologie non possono essere contratte venendo a contatto con il sudore o la saliva di una persona che ne è affetta o portatrice. Si può rischiare di essere contagiati da HIV ed epatite B o C, durante una partita o un allenamento, soltanto se si viene a contatto con sangue infetto. In questi casi la pratica standard è di fermare il gioco se un giocatore sanguina, disinfettare e coprire la ferita e ripulire il sangue prima di riprendere il gioco.
Che il virus HIV sia il responsabile dell’AIDS è una notizia che sfugge a pochissimi, complice il grandissimo allarme sociale, oggi parzialmente rientrato, degli scorsi anni.
Sicuramente in meno sono a conoscenza delle diverse tipologie di epatiti, infiammazioni del fegato più comunemente conosciute come itterizia.
Le 3 forme di epatite sono classificate come A, B, C perchè trasmesse dai virus HAV, HBC, HCV.
L’epatite A è di tipo acuto, in genere con evoluzione benigna e remissione spontanea anche se una forma fulminante può portare alla morte ( 2 casi su mille). Quasi sempre è asintomatica, in rari casi può dare nausea e senso costante di affaticamento e la colorazione gialla degli occhi, comunemente chiamata ittero.
E’ dovuta sopratutto a condizioni di scarsa igiene ed è l’unica trasmissibile anche per via ambientale, ad esempio con l’uso comune di stoviglie non lavate ma, come gli altri tipi, è trasmissibile anche per via sessuale.
L’epatite B, anch’essa con andamento generalmente acuto, ha un decorso meno favorevole perchè provoca seri danni al fegato e, in alcuni casi, porta alla morte. Si stima che circa il 2% della popolazione sia portatore cronico e si contano, in Italia, circa 1000 nuovi casi conclamati ogni anno.
E’ una malattia trasmissibile attraverso il sangue e le secrezioni vaginali e dunque i rapporti sessuali sono molto a rischio con il 40% di possibilità di contagio per ogni rapporto.
E’ altissima anche la possibilità che una madre B positiva trasmetta la malattia al feto durante la gravidanza.
I sintomi sono gli stessi dell’epatite A e si palesano molto raramente.
Anche in questo caso non ci sono terapie e la malattia, di norma, guarisce in 2 mesi massimo. Circa il 10% di chi ne è stato affetto può però diventare portatore sano, una condizione cronica che lo rende capace di infettare i propri partner per tutta la vita.
Epatite C: può essere di tipo acuto ma avere anche un decorso cronico. E’ diffusa in tutto il mondo e colpisce circa il 3% della popolazione.
Sintomatologia, diagnosi e terapia sono le stesse delle altre forme con l’aggravante che, se non curata, si cronicizza nel 70% dei casi e può portare danni irreversibili al fegato,come la cirrosi, o favorire l’nsorgenza di tumori epatici.
Come per le altre forme, non ci sono articolari terapie, anche se quando il fegato è particolarmente a rischio compromissione è possibile tentare un trapianto.
Le possibilità di successo del trapianto di fegato sono molto aumentate negli ultimi anni, come spiega esaurientemente il chirurgo dr. Giuseppe di Trapani “…La sopravvivenza a un anno è aumentata da circa il 70% dei primi anni ’80 all’80-85% nella metà degli anni ’90; attualmente la sopravvivenza a 5 anni è di circa il 60%. Un’importante osservazione è la relazione tra situazione pretrapianto e risultati del trapianto stesso; i pazienti che vengono sottoposti a trapianto epatico in buone condizioni generali (per es., ancora occupati o solo parzialmente disabili) hanno infatti una sopravvivenza a 1 anno dell’85%. La sopravvivenza dopo ritrapianto per insufficienza primitiva d’organo è circa il 50%. Le cause di insufficienza del trapianto variano con il tempo: entro i primi 3 mesi l’insufficienza deriva soprattutto da complicanze tecniche, infezioni postoperatorie ed emorragia, mentre dopo i primi 3 mesi è dovuta a episodi infettivi, rigetto o recidiva della malattia (neoplasia o epatite virale). Nella maggior parte dei pazienti che sopravvivono nei primi mesi dopo il trapianto e sfuggono al rigetto cronico o a infezioni non controllabili si ottiene una riabilitazione completa. Secondo uno studio, l’85% dei pazienti sopravvissuti al trapianto è tornato a svolgere attività remunerative. Inoltre, alcune donne hanno concepito e condotto a termine una gravidanza dopo il trapianto epatico senza conseguenze per i loro bambini”.
Il rischio di contrarre l’HIV o l’epatite B o C da un giocatore infetto è classificato come:
Bastano alcune semplici precauzioni, come:
Tutti i giocatori, allenatori, preparatori, dirigenti sportivi e ufficiali di primo soccorso devono conoscee ed applicare, sempre, queste precauuzioni per il controllo delle infezioni.
Le persone che si iniettano gli steroidi o altri farmaci che aumentano le prestazioni, sono a rischio di contrarre sia l’HIV che l’epatite B e C soprattutto se condividono con altri atleti aghi, siringhe o qualsiasi altro strumento, come tamponi o lacci emostatici.